Ha riscosso notevole clamore a inizio anno la notizia dell'approvazione, con la Legge di Bilancio, del legittimo impedimento dell'avvocato in stato di gravidanza.
Le modifiche dell'art. 420 ter c.p.p. e dell'art. 81 bis disp. att. c.p.c. prevedono ora, infatti, che l'avvocato in stato di gravidanza possa chiedere un rinvio dell'udienza per legittimo impedimento nei due mesi precedenti e nei tre mesi successivi al parto.
Stessi diritti riconosciuti in caso di adozione.
Già da una prima lettura di questo breve inciso possiamo notare una patina opaca rispetto a quanto sbandierato dai media.
I primi titoli apparsi, infatti, sbandieravano una rivoluzione nelle aule d'udienza, dove l'avvocato in stato di gravidanza avrebbe potuto assentarsi dal tribunale (!) per ben 5 mesi (!!).
In realtà, tanto la portata letterale quanto l'applicazione pratica aprono ben altri scenari.
Quello riconosciuto, infatti, non è un diritto universale al congedo di maternità per il periodo di cinque mesi, ma una mera facoltà di chiedere (e vedersi concesso) un rinvio per la singola udienza che sia calendarizzata in detta forbice di tempo.
Rinvio che, peraltro, non viene riconosciuto e concesso tout court, ma il cui accoglimento e disposizione dipende dalla discrezionalità del giudicante.
Se, infatti, è vero che questa alea era stata forse inserita per poter valutare un'esigenza di urgenza e celerità del processo, è altresì vero che presta il fianco a pronunce inquietanti.
Una fra tutte, basti citare il caso della collega che, a Grosseto, si è vista negare il rinvio nonostante l'attestazione del rischio della gravidanza.
E, del resto, che la concessione del rinvio sia a discrezione assoluta del giudice è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione, la cui VI sezione penale, con la sentenza n. 26614 dell'11 giugno 2018 ha rigettato l'istanza di rinvio non riconoscendo nell'avanzato stato di gravidanza del difensore un legittimo impedimento.
Concludiamo con una citazione letteraria: tutto cambia affinchè nulla cambi.
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