Specialmente negli ultimi anni il nostro ordinamento si è mosso, sia dal punto di vista legislativo che giurisprudenziale, per un marcato riconoscimento e tutela della bigenitorialità.
Questo lungo impegno, tuttavia, non si estrinseca solo nell'attività post separazione o divorzio, ma in taluni casi entra in gioco alla nascita stessa del figlio.
Non sono poi così infrequenti, infatti, i casi in cui il concepimento di un figlio venga nascosto al padre naturale.
Quali tutele, dunque, sia per il nascituro, che ha diritto ad entrambe i genitori, che per il padre, che ha diritto alla propria identità genitoriale?
Sul punto, è bene riportare la maggiore giurisprudenza e dottrina.
Infatti, sebbene l’orientamento maggioritario, in seguito alla pronuncia n. 162/2014 della Corte Costituzionale, sia ormai concorde nell’affermare che «la scelta […] di formare una famiglia che abbia anche figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi», non può ancora rinvenirsi, né nella giurisprudenza né nella lettera della legge, una disposizione che renda obbligatoria la comunicazione all’altro genitore, da parte della madre, consapevole della paternità, dell’avvenuto concepimento di un figlio.
E, tuttavia, il padre conserva certamente il diritto a riconoscere il proprio figlio (ex pluribus Cass. 2913/2012), fatta eccezione per alcuni casi di particolare gravità, come una avvenuta interdizione, l'età minore a 16 anni e la dichiarazione di delinquente abituale.
Ovviamente, il problema si pone principalmente per i figli nati fuori dal matrimonio che possono essere riconosciuti per dichiarazione all'ufficiale di stato civile prima della nascita o al momento di formazione dell'atto di nascita, successivamente per atto pubblico o tramite azione giudiziale.
In questo ultimo caso, occorre il consenso del minore se ha già compiuto 14 anni e pure quello della madre, qualora il riconoscimento possa recare un nocumento al minore.
Nell'ipotesi di azione giudiziale, inoltre, il Giudice dovrà investigare sull'opportunità e sulle ragioni di un riconoscimento tardivo.
La Cassazione si è recentemente occupata, invero, del caso in cui sia celata la gravidanza al padre naturale e se questa azione possa essere considerata risarcibile (Cass. n. 8459 del 5 maggio 2020).
Diciamo subito che la Suprema Corte ha ricondotto la vicenda nell'alveo della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c.
Ha infatti individuato una lesione dell'identità genitoriale, tralasciando invero la violazione degli obblighi che possono nascere da una convivenza more uxorio o la lesione del diritto del minore alla bigenitorialità, principi certamente non meno importanti ma che sono stati ampiamente esaminati in alre pronunce.
E, pertanto, la Corte ha così argomentato:"l’omessa informazione dell’avvenuto concepimento, da parte della donna, consapevole della paternità, pure in assenza di una specifica prescrizione normativa impositiva di tale obbligo di condotta, può tradursi in una condotta non iure – ove non risulti giustificata da un oggettivo apprezzabile interesse del nascituro – in quanto in astratto suscettibile di determinare un pregiudizio all’interesse del padre naturale ad affermare la propria identità genitoriale, qualificabile come danno ingiusto e che viene ad integrare, nel ricorso dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, la fattispecie della responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c.".
In conclusione, pur mancando, è vero, un esplicito obbligo normativo, la giurisprudenza è concorde nell'affermare un diritto del genitore naturale a conoscere l'avvenuto concepimento.
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