Lo abbiamo detto molte volte: in Italia non esiste il reato di violenza psicologica.
Nonostante sarebbe opportuno che questa, come l'ipotesi di violenza economica, trovasse una disciplina normativa puntuale, va precisato che la giurisprudenza ha cercato egregiamente di sopperire al vuoto normativo, interpretando in maniera estensiva i dettami dei reati di stalking e maltrattamenti in famiglia.
Recentemente, la Corte ha riconosicuto l'integrazione del reato di atti persecutori nei confronti di un marito che aveva impedito, immediatamente dopo aver sottoscritto l'accordo di separazione, alla moglie di avere una vita sociale, isolandola da amicizie e famigliari.
Nel caso di specie, i comportamenti ossessivi erano iniziati immediatamente dopo la formalizzazione della separazione, allorquando l'uomo aveva fatto in modo che la moglie vivesse in uno stato di continua prostrazione psicologica, succube, obbligandola a informarlo costantemente dei propri spostamenti e impedendole di avere contatti fuori dalla sfera famigliare, specie con soggetti di sesso maschile.
La sentenza in commento (n. 839 del 12.01.2021) sancisce poi un ulteriore importante principio di diritto, ossia che le dichiarazioni della p.o., da solo, sono sufficienti a provare la penale responsabilità dell'imputato, purchè ne sia vagliata la credibilità e genuinità.
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