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CYBERBULLISMO: UNA TUTELA SOLO PER I MINORI?



Negli ultimi anni abbiamo dovuto prendere coscienza di un dilagante fenomeno, amplificato dai social, come quello del cyberbullismo.

Giovanissimi che si accaniscono su coetanei e li prendono di mira con messaggi, insulti, scherzi, denigrazioni fisiche e vere e proprie campagne d'odio.

In alcuni casi, la conseguenza estrema è stata il suicidio della vittima.

Il legislatore, dunque, è intervenuto con vari provvedimenti per dare una risposta all'esigenza di tutela di queste particolari situazioni.

Dunque, la L. 71/2017 per la prima volta fornisce una definizione di cyberbullismo come "qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto,ingiuria, denigrazione,diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito dei dati personali in danno di minorenni, nonché la diffusione di contenuti online il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo".

La normativa si è poi mossa in un'ottica preventiva, prevedendo l'introduzione in ogni scuola di un docente referente, adeguatamente formatoe l'inserimento di apposite sanzioni disciplinari nei regolamenti di istituto per condotte di cyberbullismo.

Ha, inoltre, previsto il diritto all'"oscuramento" dei contenuti offensivi e ha recepito uno strumento già previsto per il reato di stalking, l'ammonimento amministrativo del Questore, applicabile in assenza di denuncia querela e perdurante fino alla maggiore età.

Tuttavia, va specificato che all'introduzione della definizione non è seguito, parimenti, la previsione di una fattispecie incriminatrice.

Nonostante le migliori intenzioni, la normativa del 2017 sconta forti limiti: in primis, la mancata introduzione di una fattispecie incriminatrice ad hoc.

Dunque, chi pone in essere condotte che possono essere ricondotte nella definizione sopraindicata dovrà poi essere inquadrato nelle fattispecie delittuose comunemente conosciute come lo stalking, violenza privata, estorisione, molestie e così via.

E' ovvio che questo rappresenti un forte limite della normativa introdotta nel 2017, come se si fosse lasciato il lavoro a metà.

E tale incompletezza si ravvisa anche nell'andamento ondivago della giurisprudenza, che talvolta punisce duramente i responsabili e, altre volte, applica un registro assai più morbido.

Inoltre, la normativa e la definizione valgono solo per il cyberbullismo e per i minori: da una parte, infatti, si sarebbe potuto estendere le stesse previsioni anche ai casi di bullismo (non limitato dunque ai social e al mondo tecnologico) e, parimenti, si sarebbe potuto estendere la disciplina del cyberbullisimo ache al mondo dei maggiori di età, dove parimenti si incontrano campagne di odio che nulla hanno da invidiare ai più giovani.

Su questo ultimo aspetto, possiamo riconoscere un leggerissimo incoraggiamento da parte della normativa sul revenge porn.


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