L'autocertificazione per gli spostamenti ci tiene compagnia da circa un anno: ma quali sanzioni comporta dichiarare il falso in essa?
Ci riferiamo all'ipotesi in cui si dichiari di recarsi in un determinato luogo perchè coperti da motivazioni comprovate e concesse e non, invece, ai casi in cui la motivazione espressa non rientri nei casi di necessità, lavoro o salute.
Dunque, dichiarare che ci si sta recando, ad esempio, al lavoro, mentre invece si sta andando altrove, costituisce un reato?
Sul punto è intervenuto il GIP presso il Tribunale di Milano (16 novembre 2020 n. 1940), analizzando la vicenda con chiarezza ed esaustività.
Il combinato disposto, infatti dell'art. 483 c.p. (falsità ideologica del privato in atto pubblico ) e dell'art. 76 DPR 445/2000, rende evidente che la dichiarazione falsa deve essere relativa ad un fatto precedente, già venuto ad esistenza.
È facile cogliere che la dichiarazione ‘sostitutiva’ (di certificazioni) resa dall’interessato può avere ad oggetto esclusivamente "stati, qualità personali e fatti”: ne deriva che l’obbligo penalmente sanzionato di dichiarare il vero concerne unicamente ‘fatti’ passati e al più presenti, ma non certo ‘fatti’ futuri e, a fortiori, non può riguardare mere intenzioni.
L'autocertificazione relativa all'intenzione di recarsi in uno specifico luogo, dunque, non può avere rilievo penale .
Nel caso di specie, dunque, il GIP ha pronunciato sentenza ex art. 129 c.p.p. poichè il fatto non sussiste.
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