Spesso, nel linguaggio comune, si confondono i reati di diffamazione e calunnia. Anche se possono apparire assai simili, presentano alcuni fondamentali differenze. Il reato di calunnia è catalogato, infatti, tra quelli contro l'amministrazione della giustizia poichè punisce chi incolpa, nanti l'Autorità, taluno di aver commesso un reato pur sapendolo innocente. Quindi, per il reato di calunnia, è necessario che le dichiarazioni vengano fatte davanti ad un'autorità e che si abbia la certezza che il soggetto che si sta incolpando sia, in realtà, innocente. Il reato di diffamazione, invece, si annovera tra quelli contro l'onore e il decoro della persona, poichè punisce chi offenda l'altrui reputazione comunicando con più persone. E' pertanto evidente la differenza tra le due fattispecie che, pertanto, non sono sinonimi. Il reato di diffamazione comporta alcune applicazioni particolari nella vita quotidiana, soprattutto in relazione all'uso dei social e dei mezzi di informazione. Infatti, sono numerose le statuizioni della Cassazione che hanno riconosciuto la sussistenza del reato in alcuni commenti (o post) comparsi sui social network. Vi è di più: la Suprema Corte ha infatti stabilito che questa ipotesi rappresenti un caso di aggravato, proprio per la facilità di diffusione che hanno i social. Inoltre, è importante tenere a mente che il reato si concretizza anche qualora non venga indicato espressamente il nome della persona offesa, ma vengano comunque utilizzate espressioni ed allusioni che ne consentano facilmente l'identificazione e, dunque, l'offesa. Un'altra ipotesi di concretizzazione del reato di diffamazione riguarda il labilissimo confine con il diritto di cronaca. I Giudici dovranno, infatti, valutare di caso in caso, attraverso numerosi parametri, se il contenuto dell'articolo rappresenti un caso di diffamazione o meno (ad esempio, attraverso l'uso di particolari espressioni, la mancata verifica delle fonti o l'uso del virgolettato). Proprio su questo punto è intervenuta recentemente la Cassazione (ordinanza n. 12012/2017) la quale ha ravvisato la possibilità di concretizzazione del reato di diffamazione anche nel solo titolo di un articolo. Infatti, ha argomentato la Corte, con la diffusione delle testate online e dell'informazione via social, è assai frequente che il lettore si soffermi al solo titolo, senza approfondire l'intero articolo: ecco, dunque, che il titolo diventa parte essenziale del corpo e ben potrà, dunque, essere indice di una possibile diffamazione
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