Le pagine di cronaca nera ci offrono sempre più spesso storie che vedono protagonisti i maltrattamenti in famiglia.
Il reato di cui all'art. 572 c.p. punisce chi, in qualunque modo, maltratta un menbro della famiglia: recentemente, si è estesa la portata della norma includendovi anche le famiglie cd. di fatto.
Il concetto di maltrattamenti è molto ampio, in quanto non riguarda solo le aggressioni fisiche, ma anche le vessazioni psicologiche e verbali.
Con il decreto anti femminicidio è stata introdotta la misura dell'allontanamento dalla casa famigliare in caso di flagranza nella condotta di maltrattamenti.
Il legislatore e la giurisprudenza si muovono dunque per offrire e garantire la maggior tutela possibile per ciascun membro della famiglia.
E, in quest'ottica, si inserisce anche una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 17950/2016) la quale ha riconosciuto il reato di maltrattamenti anche nell'ipotesi in cui i due coniugi si siano già separati, in particolar modo se, anche in ragione dei figli, si continuano ad avere rapporti.
E' pur vero, tuttavia, che auorità e giurisprudenza vengono spesso accusate di tutelare il maltrattante e non la vittima, applicando pene troppo leggere, disattendendo richieste di misure cautelari o ignorando richieste di aiuto.
Queste critiche vengono in effetti suffragate da discutibili pronunce: è il caso della decisione della Corte di Appello di Palermo, la quale ha invece rilevato come la fine della convivenza ponga altresì fine al reato di maltrattamenti, venendo meno il nucleo famigliare che è alla base del reato.
Con la sentenza n. 1711/2015 i Giudici siciliani hanno ritenuto che, una volta terminata la convivenza, il reato di maltrattamenti cessasse, per lasciare posto alla configurazione del reato di atti persecutori (cd. stalking), punito dall'art. 612 bis c.p..
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