Aumenta la tecnologia, si espandono i mezzi di comunicazione e , giocoforza, anche la giurisprudenza deve adattarsi.
Recentemente, la Cassazione ha affrontato il caso dell'invio di messagi sessualmente espliciti, o di foto pornografiche, ad ignari destinatari.
Nulla quaestio se questo scambio avviene tra persone consenzienti, ma può configurarsi un reato qualora questi messaggi vengano ricevuti da una persona che non ne aveva assolutamente l'intenzione ed il piacere?
La risposta della giurisprudenza è positiva.
Nello specifico, la Cassazione si è trovata a pronunciarsi sulla qualificazione, già fatta dal Tribunale del Riesame, del reato di violenza sessuale contestato ad un giovane che aveva inviato foto e messaggi sessualmente espliciti ad una ragazza, peraltro minorenne.
La difesa aveva sostenuto che, non essendovi stato un incontro, non potesse configurarsi il reato di violenza sessuale.
La Suprema Corte ha invece ritenuto che la condotta dell'indagato aveva ben leso ed invaso la sfera sessuale della persona offesa, punto focale del reato previsto e punito dall'art. 609 bis c.p.
Il punto di svolta segnato dalla Corte è di fondamentale importanza: per violare la capacità di autodeterminarsi sessualmente della vittima non è necessario un incontro fisico, ma la sfera può essere invasa anche tramite comportamenti particolari.
E così, con la sentenza n. 25266/2020, la Corte di Cassazione ha confermato la qualificazione del reato e la custodia cautelare in carcere dell'indagato.
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