Introdotto in tempi relativamente recenti, l'art. 612 bis c.p. punisce il reato di atti persecutori, meglio conosciuto come "stalking".
Come già trattato in precedenti articoli, lo stalking si concretizza in condotte plurime (in realtà, ne bastano anche solo due) che ingenerino nella persona offesa uno stato d'ansia o paura, un fondato timore per la propia incolumità o per quella di un proprio famigliare o un'alterazione delle proprie abitudini di vita.
Dunque, può verificarsi ogni volta che si perpetrino minacce, invasioni della vita privata, oppressioni, da cui derivi almeno una delle sopracitate conseguenze.
Tuttavia, non è sufficiente asserire di versare in uno stato d'ansia o di provare timore.
La condotta persecutoria infatti configurerà il reato in esame solo qualora sia causa diretta del disagio provato e lamentato dalla persona offesa.
La condotta dello stalker, dunque, può concretizzarsi in pedinamenti, telefonate ed sms insistenti, visite sul luogo di lavoro o abitualmente frequentato, purchè sia chiaro l'intento persecutorio dell'agente.
La prpva dello stalking può basarsi anche solo sulla dichiarazione della vittima, purchè sia circostanziata ed attendibile.
Non è indispensabile dunque (anche se consigliabile) che vi sia un accertamento clinico del disagio patito, purchè emerga chiaramente che questo sia causato dalla condotta dello stalker.
Ma se a prima vista può sembrare un onere probatorio piuttosto leggero, non bisogna lasciarsi trarre in inganno: infatti, alla vittima spetta l'arduo compito di provare il nesso di causalità tra il proprio status di disagio e la condotta persecutrice. Detta prova, non è sempre agevole, considerato anche il delicato contesto emotivo in cui la persona offesa vive.
E' consigliabile, qualora la condotta venga perpetrata attraverso il telefono, richiedere alla propria compagnia una copia del tabulato: può essere inoltrata allegando alla richiesta copia della querela sporta con l'attestazione di deposito.
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