La vicenda, conclusa in queste settimane, è iniziata nel 2014, quando alcuni genitori di alunni delle scuole elementari e medie di Torino decidevano di adire all'autorità giudiziaria per veder riconosciuto ai propri figli il diritto di consumare a scuola un pasto portato da casa.
In primo grado, il Tribunale aveva respinto ogni istanza, confermando dunque il divieto imposto dal MIUR di un pasto differenziato.
In secondo grado, invece, la decisione viene parzialmente ribaltata.
La Corte d'Appello riconosce, infatti, un diritto a scegliere il pasto preparato a domicilio da consumare durante l'orario scolastico.
Tuttavia, si è trattato di una sentenza a metà: infatti, il riconoscimento è solo sulla carta non avendo previsto, la Corte, delle linee pratiche di attuazione.
Si è giunti dunque in Cassazione, le cui Sezioni Unite (sentenza S.U. 20504/2019) hanno riconfermato la correttezza del divieto imposto.
Sostengono infatti le Sezioni Unite che non esista un diritto soggettivo all'autorefezione individuale nell'orario mensa e nei locali scolastici: gli studenti, dunque, non potranno consumare durante la pausa mensa cibo portato da casa.
Evidenziano, inoltre, come il momento della mensa non sia solo un incombente alimentare, ma soprattutto un'occasione importante di socializzazione.
La Cassazione lascia tuttavia uno spiraglio aperto, sostenendo che i genitori possono certamente influire sulle scelte riguardanti la modalità di gestione del servizio mensa, partecipando al relativo procedimento amministrativo.
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