
Quando il legislatore ha introdotto il reato di atti persecutori, ha volutamente lasciato ampio margine discrezionale nell'interpretazione delle condotte.
Nel corso del processo, infatti, dovranno essere provate l'esistenza di una condotta persecutoria e le sue conseguenze, in considerazione della figura della persona offesa.
Tuttavia, una quasi totale discrezionalità può rivelarsi un'arma a doppio taglio.
Significativo è il caso della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Roma (sez. I 30.01.2018), che ha assolto dal reato di stalking un genitore, ritenendo che le condotte erano state poste in essere nell'esercizio del diritto di vedere e frequentare la figlia minore.
L'imputato era stato processato, infatti, per una serie di condotte, quali appostamenti, chiamate e messaggi insistenti, posti in essere per poter vedere la propria figlia minore.
Nel caso di specie, la Corte di Appello di Roma ha si riconosciuto una certa insistenza e rindondanza delle condotte, ma altresì escluso l'intento persecutorio delle stesse, ravvisando esclusivamente la volontà di esercitare il proprio diritto di visita quale genitore non collocatario.
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