Sembra assurdo, ma anche con il reato di atti persecutori stiamo rivivendo cio' che accadeva fino alla fine degli anni '90 con i reati sessuali.
La vittima, infatti, viene spesso posta sotto i riflettori e subisce, a sua volta, un vero e proprio processo per verificare "quanto" sia stata effettivamente perseguitata e "quanto" cio' l'abbia turbata.
Uno degli interrogativi che spesso ci si pone e' infatti se un fugace riavvicinamento con lo stalker, in realta' anche una breve telefonata, possano essere considerati scusanti della sua condotta.
E, infatti, molte persone sono turbate dall'aver risposto a un messaggio o ad una telefonata, con l'intento, magari, di calmare il persecutore.
Ebbene, su questo punto si e' recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 22785 del 28.07.2020.
La Suprema Corte ha infatti analizzato il caso in cui vi era stato un episodico e temporaneo riavvicinamento della vittima al persecutore.
La Corte ha decretato che neppure questa ipotesi (invero, molto piu' significativa rispetto a quelle sopra richiamate) e' idonea ad interrompere l'abitualita' delle condotte e la continuita'.
Tuttavia, perche' cio' sia possibile e'altresi' riconosciuto che debba comunque persistere un evidente stato di disagio della vittima, di rpostrazione psicologica e ansia cosi' come descritte dall'art. 612 bis c.p.
Confido che questa pronuncia possa tranquillizzare chi crede che la propria denuncia non verra' presa in considerazione, o che sia addirittura inutile presentarla, avendo risposto o avuto contatti con il proprio persecutore.
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