A settembre ci ha sconvolti l'omicidio di Willy, seguito ad un pestaggio da parte di alcuni delinquenti locali.
Come spesso accade, il legislatore ha risposto all'ondata di indignazione social e mediatica introducendo una nuova fattispecie nell'ordinamento.
Ed ecco che, all'interno del nuovo Decreto Sicurezza, trova collocazione il DASPO antirisse, già ribattezzato "norma willy".
La norma interviene direttamente sul reato di rissa, previsto e punito dall'art. 588 c.p. (multa innalzata a 2000 Euro e reclusione fino ai sei anni) e, inoltre, prevede l'istituzione di un provvedimento amministrativo, il daspo, anche per coloro che si sono resi protagonisti di disordini o atti violenza e a “soggetti che abbiano riportato una o più denunce o una condanna non definitiva, nel corso degli ultimi tre anni, relativamente alla vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope".
Il DASPO inibirebbe, una volta emanato, la frequentazione e l'accesso ad un elenco di locali.
In realtà, la stesura lascia un poco perplessi: consente infatti di emettere un provvedimento interdittivo sulla base della sola denuncia, violando dunque il principio di non colpevolezza.
Inoltre, si delega al gestore del locale cui è interdetto l'accesso il rispetto del provvedimento del Questore: dunque, il gestore o i suoi dipendenti, soggetti privati, dovrebbero richiedere ad ogni avventore la propria posizione rispetto alle leggi di pubblica sicurezza?
E, qualora consentissero l'accesso, non conoscendo la sussistenza di un DASPO, verrebberp sanzionati con i provvedimenti di cui all'art. 100 TULPS?
Le intenzioni della norma potranno anche essere state lodevoli ma, come al solito, sfugge completamente la realtà delle cose.
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